Mai come quest’anno la festa veneziana della Madonna della Salute, celebrata ogni anno il 21 novembre, sarà tanto sentita e tanto attuale.
Questa festa segna la fine della pestilenza che colpì la città nel biennio 1630-1631. Doge e Senato chiesero l’intercessione della Vergine per far finire l’epidemia, facendo voto di erigere una chiesa intitolata alla Madonna.
Nel novembre del 1631 la peste abbandona la città e il voto viene mantenuto con la costruzione della Chiesa votiva della Madonna della Salute del Longhena.
Ma oltre alla tradizione votiva a Venezia ce n’è anche una culinaria: il 21 novembre, infatti, non c’è luogo della laguna in cui non si possa consumare la famosa “Castradina”.
L’uso di gustare la Castradina (un piatto a base di carne di montone castrato, salata e affumicata, proveniente dalla Dalmazia) deriverebbe dal fatto che durante la pestilenza i Dalmati fossero rimasti tra i pochi a rifornire Venezia e che la carne di montone essiccata fosse meno soggetta alla contaminazione batterica, non trasmettesse il virus.
Le forniture di carne di montone fecero sì che la popolazione non morisse di fame. Per riconoscenza, alla fine della pestilenza, il Doge per ringraziare i “Fratelli Dalmati”, emise un decreto secondo il quale l’uso della Castradina fosse “de obligo su le tole, sia dei povaréti che dei siori, nobili o mercanti”.
Il nome per esteso del piatto è “Castradina sciavona“, per il riferimento alla Schiavonia, area che comprendeva la Dalmazia, la Bosnia e l’Albania (e da cui prende il nome la Riva degli Schiavoni), da cui provenivano le genti slave di Ragusa, Sebenico, Budva, Cherso, Durazzo e Dulcigno, che detenevano il monopolio dell’importazione della carne, favoriti dalle esenzioni doganali.
La preparazione è piuttosto lunga. Necessita di ripetuti prelavaggi in acqua tiepida e l’acqua della prima bollitura buttata via. I tempi di cottura sono piuttosto lunghi (6-7 ore). Ma è facile, al giorno d’oggi, trovarne la ricetta.
Si consuma accompagnata con “verze sofegae” (stufate) e… buon appetito.